Poche fatture emesse: accertamenti fiscali

Sommario: 1. Premessa. 2. Accertamento ex art. 39 D.P.R. 600/1973. Soggetti passivi e requisiti necessari. 3. L’accertamento analitico-induttivo e la “qualificazione delle presunzioni”. 4. In particolare: l’accertamento induttivo effettuato nei confronti dell’avvocato che emette poche fatture. Giurisprudenza.

1) Premessa L’Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento del reddito, ex art 39 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo ), prescindendo dai dati risultanti dalle scritture contabili. Orbene, diviene necessario, anche se sinteticamente, dare conto di tale contraddizione in termini: possibilità per l’Amministrazione finanziaria di prescindere dalle scritture contabili per ricostruire il reddito dei soggetti che, obbligatoriamente, vi sono tenuti. Conseguentemente è fondamentale individuare quali siano gli elementi, i dati, ecc., extracontabili, che l’Amministrazione finanziaria potrà adottare per giungere ad un risultato che porti alla rettifica della dichiarazione di questa peculiare categoria di contribuente. Si ribadisce il punto: la dichiarazione dei redditi viene compilata, e inviata, sulla base dei dati risultati dalle scritture contabili (libro giornale, registri IVA, libro cespiti ammortizzabili, ecc…). La stessa potrà essere rettificata dall’Amministrazione finanziaria senza che vengano considerate le componenti positive e negative che conducono al risultato economico (reddito o perdita) dell’esercizio, ma partendo dalla considerazione, o, meglio suggestione, di un giudizio di non verosimiglianza del reddito dichiarato con quello effettivo.

2) Accertamento ex art. 39 D.P.R. 600/1973. Soggetti passivi e requisiti necessari.

Il legislatore, all’art. 39 del D.P.R. 600/1973, ha previsto la possibilità che l’Amministrazione possa ricorrere a tre tipi di accertamento: analitico, analitico-induttivo ed induttivo “puro”. Tale metodologia accertativa viene utilizzata dall’Ufficio per la ricostruzione del reddito o del volume d’affari, partendo dai dati contabili. Il primo comma, in particolare, prevede che si possa procedere, nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (in sostanza, imprenditori e lavoratori autonomi), ad accertamento di tipo: 
analitico : in presenza di una contabilità corretta - in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti - qualora vi siano divergenze tra gli elementi documentali e la dichiarazione, in quanto: 
le componenti positive e negative di reddito indicate nella dichiarazione non corrispondano a quelle iscritte in bilancio (lett. a); 
non siano state correttamente applicate le disposizioni sul reddito di impresa (lett. b); 
la dichiarazione contenga dati incompleti , falsi o inesatti (lett. c), risultanti in modo certo e diretto dai verbali redatti in occasione della comparizione del contribuente presso gli Uffici, o dal questionario redatto dal contribuente su richiesta dell’Ufficio, o dai documenti esibiti in tale occasione, o dalle dichiarazioni di altri soggetti, o dai verbali relativi ad ispezioni presso altri soggetti; 
analitico-induttivo , in presenza di una contabilità corretta, qualora la dichiarazione contenga dati incompleti, falsi o inesatti , i quali risultino: dall’ispezione delle scritture contabili, o dalla verifica condotta presso il contribuente, o dal controllo delle fatture e della documentazione contabile, o dai dati e dalle notizie raccolte dagli Uffici ex art. 32 D.P.R. 600/1973; l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici , purché gravi, precise e concordanti (lett. d). L’art 39, comma 2, prevede il c.d. accertamento induttivo “puro ”; con tale metodologia accertativa è previsto che, in deroga alle disposizioni di cui al primo comma – e, pertanto, in deroga alle scritture contabili tenute – l’Ufficio determini il reddito, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza , con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, e, all’uopo, possa avvalersi anche di presunzioni “semplicissime”, non qualificate , prive, cioè, dei requisiti della precisione, gravità e concordanza . E’ bene precisare che l’Amministrazione finanziaria potrà procedere ad accertamento extracontabile solo in presenza di specifiche condizioni richieste dalla legge. Difatti, per poter ricostruire complessivamente il reddito d’impresa del contribuente, sulla scorta del 2° co. dell’art. 39 (che permette di prescindere sia dall’impianto contabile sia dall’utilizzo di presunzioni dotate dei caratteri della precisione, gravità e concordanza), è necessaria ed indefettibile sussistenza di tassative condizioni: a) quando il reddito d’impresa non è stato indicato in dichiarazione; b) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; c) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni, accertate ai sensi del precedente comma, ovvero la irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; d) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli Uffici ai sensi dell’ art. 32, 1 comma, nn 3 e 4, del presente decreto o dell’art 51, 2 comma, nn 3 e 4 del D.P.R. 633 del 72.

3 L’accertamento analitico-induttivo e la “qualificazione delle presunzioni”. L’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i corrispettivi e i compensi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis del D.L. n. 331 del 30 agosto 1993 , potranno rappresentare delle presunzioni, per l’Amministrazione finanziaria, sulle quali costruire l’intero procedimento accertativo. Il criterio della ragionevolezza era già stato sancito dalla Cassazione nel lontano 1995, la quale aveva precisato che la contabilità del contribuente professionista, pur se formalmente corretta, dovesse essere considerata essenzialmente inattendibile, allorché configgente con il normale senso comune, con conseguente legittimità dell’accertamento induttivo . Allo stesso modo, la Suprema Corte, con sentenza n. 14292 del 30 ottobre 2000, aveva affermato che “il numero dei soggetti ad imposta che abbiano le proprie scritture contabili presso un professionista è un valido parametro per l’accertamento induttivo dei redditi del professionista stesso, ed anche per considerare inattendibile la eventuale contabilità tenuta dal professionista stesso”. Ed ancora, la stessa sentenza aveva enunciato un principio fondamentale: “il parametro secondo cui il numero dei clienti è uno degli elementi da cui è possibile trarre induttivamente il reddito di un soggetto è poi conforme ad una giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte ”. Sarà, pertanto, onere del contribuente-professionista addurre elementi in grado di superare tali presunzioni . La presunzione secondo cui i professionisti non sono soliti prestare la propria opera a titolo gratuito, o dilazionando la richiesta di compenso, è agilmente superabile attraverso una prova puntuale e specifica (ma non attraverso una mera asserzione). In un sistema che consente l’utilizzazione delle presunzioni a favore dell’Amministrazione, l’unico rimedio posto a carico del contribuente è quello dell’inversione dell’onere della prova . A tale presunzione, potrà opporsi agevolmente che, per quanto riguarda la prestazione professionale, non rileva il momento iniziale o finale della stessa: il sistema di determinazione del reddito di lavoro autonomo applica il criterio c.d. “di cassa ”. Così, nel caso del medico dentista, sarà possibile opporre alla presunzione siffatta, che il numero delle visite giornaliere dichiarate non può implicare, di per sé solo, sotto il profilo delle presunzioni, un pagamento proporzionale: occorre, di converso, considerare il pagamento a cura completata . Ciò accade anche all’ingegnere per la redazione di un progetto relativo ad opere importanti, e accade anche all’avvocato, soprattutto nelle cause la cui durata non è preventivabile.

4. In particolare: l’accertamento induttivo effettuato nei confronti dell’avvocato che emette poche fatture. Giurisprudenza.

Recentemente la Suprema Corte, sentenza n. 7460 del 27/03/2009, ha affermato che costituisce una valida presunzione, ai fini dell’accertamento induttivo effettuato nei confronti del professionista – avvocato, “l’emissione di un numero di fatture non congruo rispetto al decoro e all’onore della professione, oltre che rispetto al numero di ricorsi depositati in favore dei propri clienti”. Nella sentenza in parola si è ribadita la legittimità dell’accertamento induttivo utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per rettificare il reddito di lavoro autonomo dichiarato da un professionista, il quale aveva emesso un numero di fatture irrisorio. Nella fattispecie in esame, in particolare, l’Ufficio delle Imposte Dirette di Roma aveva rettificato il reddito di lavoro autonomo per l’attività forense, a seguito di una verifica da cui era emerso che il ricorrente aveva emesso soltanto 25 fatture, a fronte della presentazione di un numero di ricorsi civili ed amministrativi pari ad oltre 200. Il professionista, in risposta, aveva eccepito che un notevole numero di tali ricorsi era stato presentato per gli iscritti ad un sindacato del cui ufficio legale egli faceva parte e per i quali aveva riscosso compensi irrisori solo all’esito favorevole delle relative vertenze. In particolare, il professionista aveva eccepito altri elementi da cui poter desumere il suo tenore di vita effettivo, quali la propria abitazione, il suo studio professionale, gli stessi accertamenti bancari eseguiti dalla G. di F. La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato quanto affermato dai giudici della Commissione Tributaria Regionale, in quanto una dichiarazione annuale dei redditi di € 6.590,00 non appariva congrua rispetto alla mole di lavoro effettuata, che per quell’anno consisteva nella presentazione di ricorsi per oltre 200 clienti. La sentenza richiamata pare inserirsi nell’orientamento della stessa Suprema Corte con Cass. Civ., Sez. Trib., 13/04/2007, n. 8886, secondo cui l’Amministrazione finanziaria può procedere, anche in via indiziaria, all’accertamento di maggiori ricavi in materia di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, anche in presenza di una contabilità regolarmente tenuta. Ha inoltre ritenuto legittimo l’accertamento, operato nei confronti dei professionisti, sulla base dell’elenco clienti e del giro d’affari degli stessi. Nella specie, l’Ufficio aveva proceduto alla determinazione dei compensi percepiti dalla contribuente sula base della lista dei suoi clienti e dei ricavi da loro dichiarati, tenuto conto delle tariffe professionali. A sostegno di quanto sopra la stessa Suprema Corte con Cass. Civ., Sez. Trib., 24 novembre 2006, n. 25002, relativamente ad un ricorso presentato nell’interesse di un commercialista, per il quale si era proceduto alla rideterminazione induttiva del reddito, in quanto il numero dei clienti era notevolmente superiore al numero delle fatture emesse e al reddito dichiarato, aveva ribadito che: “giova preliminarmente ricordare che in mancanza di contrarie disposizioni di legge, la prova della percezione di un reddito può anche essere data per presunzioni e che la necessità, sul piano sostanziale, di tener conto dei soli compensi concretamente percepiti nel periodo di imposta, non esclude la possibilità, sul piano probatorio, di ritenere pagate, nell’anno stesso di esecuzione, tutte quelle prestazioni per le quali sussistono elementi capaci di giustificare simile convincimento. Tanto puntualizzato, rimane unicamente da aggiungere che nella fattispecie in questione, la Commissione Regionale ha desunto il tempestivo pagamento delle prestazioni dal numero delle stesse, dalla caratura dei beneficiari, dalla consistenza dell’opera prestata in loro favore, dalle caratteristiche della struttura utilizzata e dalla mancata indicazione, da parte del contribuente professionista, di elementi atti a dimostrare il contrario” . Anche la giurisprudenza di merito, Commissione Tributaria Centrale, Sez. XXV, sentenza n. 799 del 04 marzo 1997, aveva sancito la correttezza dell’accertamento induttivo dei redditi, previsto dall’art. 39, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, promosso nei confronti dei soggetti esercenti arti e professioni, per cui aveva legittimato l’operato dell’ufficio che aveva proceduto nei confronti di un commercialista mediante lo strumento dell’accertamento induttivo, ponendo a fondamento di esso una ragionevole presunzione di inattendibilità della dichiarazione dei redditi del contribuente; a tale scopo demandava l’onere della valutazione estimativa dell’entità del volume d’affari alla competente Commissione tributaria regionale. Il maggior numero dei clienti rispetto a quello delle fatture emesse e la sproporzione tra l’ammontare di queste ultime, anche in relazione al probabile impegno profuso dal professionista nella sua prestazione d’opera, costituiscono circostanze idonee a far sì che l’Ufficio presuma l’esistenza di attività non dichiarate e reputi inattendibile la documentazione contabile. In tali casi, occorrerà dimostrare che il compenso del professionista è esattamente quello indicato in fattura, indipendentemente dal numero delle “pratiche” svolte o in trattazione. Giova ribadire che la determinazione della base imponibile degli esercenti arti e professioni segue il criterio di cassa quindi rileva solo ed esclusivamente il momento della percezione del compenso, a nulla rilevando l’inizio della prestazione professionale. Gli strumenti probatori dei quali potrà servirsi il professionista sono della stessa natura di quelli adottati dall’Amministrazione finanziaria, ovvero potrà avvalersi di presunzioni per confutare il ragionamento inferenziale dell’Ufficio fiscale. Così, come ha affermato dalla giurisprudenza di merito, Commissione Tributaria Regionale Sicilia, Sez. 1, sentenza n. 13 dell’08.04.2008 , è ragionevole ritenere che solo la conclusione della vertenza, con esito favorevole per il cliente, possa far legittimante concludere per la corresponsione del corrispettivo da parte di questi. Conseguentemente è prudente che il professionista adotti ogni cautela per salvaguardare il proprio credito professionale, non solo per il credito in sé, ma anche perché rinunciarvi, sic et simpliciter, potrebbe condurre l’Ufficio fiscale ad un giudizio di percezione “in nero” dello stesso. In definitiva ci si potrebbe trovare dinanzi alla mancata percezione del corrispettivo professionale e alla contestazione del mancato pagamento delle imposte ad esso relativo, ovviamente con la comminazione di sanzioni. Lecce, settembre 2010 Avv. Leonardo Leo

 

 

06/09/2010

Fonte: http://www.reteingegneri.it

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